giovedì 22 marzo 2012

una storia di Via Poma numero 2. Quando si staziona.



Se nostro marito ha un impegno di lavoro e nel tardo pomeriggio di piena estate dell’anno 1990 ci chiede si accompagnarlo, di attenderlo in macchina, se nel caldo insopportabile di Agosto la macchina viene parcheggiata in via Poma numero 2, se non c’è niente da vedere in quella strada di quartiere, deserta dei passanti dei negozi, di qualunque attrattiva, se per ammazzare il tempo leggiamo una rivista, se nella speranza di avere un alito di refrigerio apriamo la portiera.. non è colpa nostra se puntiamo l’attenzione sopra una forte voce di donna, cadutaci nell’udito e all’improvviso da una delle rare finestre aperte dello stabile, ma quale di quelle, cercano istintivamente i nostri occhi, è difficile stabilirlo. Se nel suono di quella voce percepiamo elementi di rabbia di ansia e di paura, nulla possiamo fare per raggiungerla.. Tra di noi e la voce calcoliamo metri cubi di aria in ebollizione, il sole pieno, il cancello di recinzione, il cemento armato del palazzo, il quesito da dove venga quella voce, a quale appartamento corrisponda, a quale citofono, sempre che lo stabile sia dotato di citofoni, data la presenza di una portineria. Se la voce verso le 18 e quindici  sale di tono fino a lacerarsi come per uno grido, se di fronte alla voce c’è qualcuno che la spaventa, forse a morte, la facciamo continuare nella sua angoscia. Se a un certo punto, pressata dalle insistenze del probabile interlocutore, la donna la solleva all’urlo: “se non la smetti chiamo il 113”, possiamo pensare di chiamare la Polizia al posto suo, pensiamo e ripensiamo adesso chiamo la Polizia, ma è il mese di Agosto, le caserme sono deserte come le città.   Pensiamo di introdurre il numero 113 con il prefisso 06, non sappiamo che per il 113 la procedura è diversa e non serve lo 06, pertanto non riusciamo a collegarci, pur provando e riprovando.  Infine, pensiamo,  il caldo soffocante è causa di nervosismo, forse, per contagio, in quella minaccia abbiamo sentito soltanto le fantasie accese di una giovane. In estate, ragioniamo, la gente perde il controllo, la gente litiga. Durante l’estate le peggiori passioni esplodono senza controllo, si arriva ad uccidere quando si scoppia di caldo. Forse in quella voce cerchiamo delle distrazioni, forse al contrario l’interlocutore ha intenzioni omicide, forse i due non si conoscono neppure e litigano per motivi che non riguardano l’amore arrabbiato, accaldato, forse ciasuno corre le proprie ragioni, ragioni di lavoro, ragioni di denaro. Sembra che si parli di tradire delle responsabilità, sembra che la ragazza rifuti di farlo, ma dai suoni non si distaccano nettamente le parole, si intuiscono solo cariche del dolore e la paura, lo sdegno di una giovane donna. Pensiamo quel gridare di donna il litigio tra una cameriera e il padron di casa, forse il caldo sta inscenando il litigio per gioco, per ammazzare il tempo. Per ammazzare il tempo la gente litiga, è noto si litighi quando non si abbia di meglio da fare. L’estate è fatta per la villeggitura, non è fatta per la città. Così molliamo il telefono e lasciamo che la voce di quella ragazza continui la sua corsa nel calore e infine si spenga bruscamente, all’improvviso come si è levata. Lasciamo che  il ritornato silenzio opprimente della strada deserta ci sembri un sollievo.

In seguito, verso le 19 o le 19.30 quando ancora attendiamo nostro marito nel caldo insopportabile che non accenna a diminuire, ma sembra soffocare nell’afa, guardando intorno nervosamente dove non c’è che il vuoto, vediamo camminare a passo lento tre uomini che si fermano proprio di fronte la nostra macchina, prestanti, robusti, vestiti di tutto punto in quel caldo infernale – camicia giacca cravatta - uno di essi schiaccia una sigaretta con fare assente. Come assenti riprendono i tre a muoversi adagio quando, di sorpresa,  ritornano sui loro passi, si infilano nel palazzo, da cui nuovamente riemergono visibilmente agitati. Uno, particolarmente nervoso, inveisce per il fatto che non sono riusciti a trovare il portiere e con tono di comando – lo si capisce l’autorità dei tre - rivolto a uno degli accompagnatori lo invita a cercare a tutti i costi il custode dello stabile. Se accade questo davanti i nostri occhi, per una istintiva associazione d’immagini di rumori e di calore, per un assurdo presentimento colleghiamo gli uomini anomali, i loro abiti anomali, i loro comportamenti anomali alla voce della ragazza. Quando passano altri minuti, finchè l’uomo comandato dal capo ri-esce dal cancello dicendo “Dottore, mi hanno assicurato che il portiere c’è, se non si trova in portineria sarà in qualche appartamento ad annaffiare le piante”, quando i tre uomini si riavviano dentro lo stabile e non li vedremo più, il presentimento scottante li insegue, lungi dallo svanire come il brusio di un pensiero subitaneo. Diventa luminoso, così luminoso da illuminare il sole al tramonto. Ma nel sole calante cala la vicenda umana, ogni chiarezza svanisce nel crepuscolo. Fino al giorno successivo quando la notizia della morte di Simonetta Cesaroni esplode nel caldo astratto di una mattina di mezza estate e con la notizia riesplode il presentimento. Congiunto a un chiaro senso di colpa, il quale se fantastico o giustificato non abbiamo modo di sapere, una cosa rimanendo da fare.  Adire alla legge.

 Davanti la legge sta un usciere. Gli si rivolge una donna visibilmente concitata. Chiede dell’incaricato di una indagine relativa al caso di una giovane donna uccisa. L’usciere dice che per il momento l’ispettore è occupato. Sta interrogando tutti coloro implicati nella faccenda della giovane donna massacrata in via Poma al numero civico 2, il fidanzato, la famiglia, gli amici il datore di lavoro. Il portiere Vanacore, la famiglia del portiere, gli inquilini dello stabile. L’usciere domanda alla signora che cosa voglia dall’incaricato. Ella risponde che ha qualcosa d’importante da comunicare, l’usciere le chiede la natura di quella cosa, la signora dice di conoscere gli ultimi istanti di vita della ragazza uccisa. L’uomo riflette, poi le dice di attendere. Non sa dirle quanto lunga sarà l’attesa, ma le dice che forse potrà entrare.
Forse ma non ora.  Come forse?
La donna che per arrivare alla legge s’è provvista di pastiglie tranquillanti, ha ripassato il suo discorsetto cento volte, ha raccolto tutta l’energia che serve quando ci si infila in certe brutte storie di morti ammazzati.. magari da certi strani personaggi che paiono confezionati dai Servizi Segreti - si sa come si entra, non si sa come si esce, non si sa neppure se se n’esce vivi - la donna che ha fatto questo ha dimenticato a casa la pazienza. Durante il passare delle ore, le ore che non passano, compie parecchi tentativi di venire ammessa nella stanza delle indagini, sopporta la curiosità dell’usciere che cerca di strapparle il segreto. La donna risponde che parla solo all’incaricato.  Per ore non cessa di conservare l’impazienza, gli occhi fissi sull’usciere, dimentica degli altri presenti, parendogli l’uomo l’unico ostacolo e al tempo la sola speranza di compiere il suo dovere di cittadina. Lo spinge a entrare nella stanza delle indagini ad avvertire l’incaricato che c’è qualcuno che ha importanti rivelazioni da fare, lo prega, lo supplica mentre il caldo impazza nella camera ardente della verità, a un certo momento grida esasperata. Infine la sua energia si indebolisce, non ha più voglia di stare in quella camera. La vicenda che ha vissuto come testimone oculare comincia a perdere i contorni davanti i suoi occhi, a momenti le sembra di averla sognata, altri momenti le sembra di attribuirle una importanza che non ha, altri ancora, quando non sa più se è ancora il giorno o se è venuta la notte, non sa se la voce disperata che ricorda sia in verità la voce che crede di ricordare, che crede di avere udito e gli uomini che ha veduto, siano personaggi che ha soltanto immaginato.
Tre personaggi in cerca della sua immaginazione accaldata.
Nella sonnolenza dei minuti che non passano distingue sempre meno la verità dalla fantasia.
Quando l’uomo usciere si china su di lei.
Ha fame?
Volevo sfamare la legge
Lei è insaziabile
Invece sono sazia.

La donna viene ricevuta dopo 12 ore di attesa.  La sua deposizione raccolta e scartata, come un ciuffo di ottime patate scartate perchè nate storte e bitorzolute, pertanto non commerciabili. Sopra quell’inchiesta, privata della testiminianza della donna ora deceduta, viene istruito, venti anni dopo, un processo tecnico, basato cioè sulle analisi di laboratorio che non sulle conclusioni investigative, un processo che si apre con l’assurdo “suicidio” del portiere e si conclude al primo grado di giudizio con l’assurda condanna di chi fu il fidanzato della morta.
Inchiodato da un morso e una goccia di saliva.
Si dice l’impronta dei denti sul seno della ragazza sia compatibile con l’arcata dentaria del Fidanzato.
Si dice il DNA della saliva trovata sul reggiseno della morta compatibile con il DNA del Fidanzato.

Per tante prove schiaccianti l’uomo viene dichiarato colpevole.
Viene il giorno della contro-perizia. I consulenti della difesa chiedono nuove analisi e nuovi esperti.
Gli esperti della difesa dichiarano che il morso non è un morso!
Se il morso probabilmente non è un morso,  gli esperti dell’accusa (che invece lo hanno dichiarato un morso), probabilmente non sono degli esperti.
In conclusione è impossibile che i disegni sul seno di Simonetta corrispondano ai segni di un morso. Si dimostra assai improbabile che un essere umano possa mordere un seno in quel modo. Cito testualmente dalla perizia: "Le due minime lesioni escoriative seriate poste al quadrante supero-mediale della base d'impianto del capezzolo sinistro - scrivono nella perizia di oltre 260 pagine – non sono in grado di configurare alcun morso, oltretutto mancando l'evidente traccia di opponente, per cui restano di natura incerta".
Sembrano i segni dovuti allo strizzamento del capezzolo compiuto con le dita della mano, le dita provviste di unghie che hanno graffiato e segnato la pelle della giovane. Per degli “esperti” di settore scambiare i denti con le unghie mi appare assurdo come e più del suicidio del portiere.
Si dice un'altra cosa del tutto nuova: il sangue trovato sul corpo della ragazza e in vari punti della casa appartenga a TRE DNA differenti. TRE persone distinte, di probabile sesso maschile,  siano in qualche modo ricollegabili alla morte di Simonetta.
A questo punto ricollegabili  alla morte di Pietrino Vanacore.
Un ultimo dettaglio, gli esperti hanno contestato l'ora della morte della povera Simonetta, da sempre racchiusa tra le 16 e le 17 di quel pomeriggio. Ritengono la si debba posticipare tra le 18 e le 19 di quel pomeriggio!

Alla porta della legge la testimonianza della donna romana aveva bussato
Se la testimonianza alla fine potè adire alla legge, non ne potè più uscire. Non potè ritornare alla luce. Rimase chiusa in un cassetto per venti anni. A tutt’oggi custodita.
Se fosse stata destinata alla luce, oggi Vanacore potrebbe essere vivo, Busco sarebbe a casa a fare il padre, l’assassino o gli assassini e i relativi mandanti rinchiusi dietro la porta della legge, dove invece è stata rinchiusa la testimonianza.
I mazzi di Rose Rosse sulla tomba di Simonetta non sarebbero mai apparsi

Così va il mondo.
Pardon così andava in Italia, nel secondo millennio!

Isabella Consoli.

3 commenti:

  1. Questo articolo è davvero sconvolgente, in prima battuta, ma, a ben pensarci, non lo è affatto.
    Non lo è affatto perchè da subito, questo "caso," mi è sembrato che non lo si volesse risolvere e non conoscevo questo particolare, poi, dopo la condanna del Busco, mi è sembrato che, per porre fine alla storia, abbiano voluto trovare un colpevole a tutti i costi, e chissenefrega se poi il costo è che probabilmente, in galera c'è finito un innocente. Spero, in tutta franchezza, che venga, prima o poi, fatta la chiarezza necessaria, e che la legge apra le sue porte.
    Quel che mi duole è che così andava e va...

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  2. E' chiaro che le indagini sono state pilotate ...chi ha ucciso o qualcuno per lui sapeva bene come imporre la propria verità alla storia ...risultato due omicidi ...una decina di vite spezzate ... un fiume di denaro speso ... e obiettivo centrato !
    ..da dove deriva la vigliaccheria di accettare tutto questo ? ...perchè in questo paese abbiamo la potenzialità di accettamo queste cose ?

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  3. più sconvolgente ancora è la comparsa di un mazzo di Rose Rosse sulla tomba di Simonetta. Nessuno ha mai saputo quale mano lo abbia deposto, ben due volte nel corso degli anni, fino a che la notizia è divenuta di dominio pubblico. Una chiara allusione alla matrice del delitto.

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