sabato 5 maggio 2012

CRONACA DI UN CHIAROSCURO 25 APRILE MILANESE


Considerazioni, impressioni e immagini sulla ricorrenza di un'alba democratica fallita

di Stefano Molinari




L'articolata introduzione del sottotitolo, "considerazioni, impressioni, immagini", era una formuletta introduttiva (talvolta conclusiva) per un certo tipo di temi che la mia professoressa di lettere delle medie assegnava: su un fatto di cronaca, o di storia, o su una lettura, o su una gita scolastica... Questo tipo di titolo era visceralmente odiato da noi ragazzi, tanto che alla dettatura di "Considerazioni..." si sentiva un velato mugugno. Cosa più che comprensibile: gli argomenti erano per lo più pallosi... e bisognava considerarli, e aggiungere le nostre impressioni, e per soprammercato fornire delle immagini. Ogni tanto chiedevamo alla professoressa cosa intendesse per immagini... e lei rispondeva che erano le visioni. Ma come si faceva a produrre delle visioni magari sul Congresso di Vienna? Mah!  (Faccio notare al lettore che il soprascritto ha da poco compiuto sessant'anni, quindi ha vissuto un'adolescenza ancora molto lontana dal furore immaginifico contemporaneo). Tuttavia, forse per la natura nostalgica del tema che mi sono assegnato, oggi ripenso con benevolenza a questa formuletta. E grazie al tanto tempo trascorso da quel tempo, non avrò problemi con le considerazioni e le impressioni... e meno ancora con le immagini, che ho in sovrabbondanza!

25 aprile 2012. Pranzetto familiare, preparato da mia madre, insegnante in pensione quasi novantenne. Difatti è nata nel 1922, proprio l'anno dell'ascesa al potere del fascismo. Questa coincidenza mi causò un curioso fraintendimento: proprio al tempo delle medie, avevo ereditato la sua scrivania di ragazza (un bel mobile in stile cinese, in legno laccato), e aprendo il cassetto destro sul bordo in alto c'era una scritta a penna, con una data, che adesso non ricordo precisamente ma che risaliva sicuramente al 1935: cioè "Scritto il ... (giorno) ... (mese) 1935 XIII". Chissà perché mia madre ebbe questo impulso di lasciare un ricordo indelebile di quel giorno? Cosa voleva dire XIII? Ah, certo: era l'età di mia madre, che nel 1935 aveva tredici anni. E questo mi diede un'impressione di superbia (ora direi di narcisismo), peraltro piuttosto probabile, e comunque comprensibile in un'adolescente... Solo un bel po' di tempo dopo, studiando la storia e notando che i documenti dell'Era Fascista erano contrassegnati dall'età del fascismo in numero romano, ho dovuto scusarmi idealmente con mia madre: il solenne numero XIII non era un vezzo autoreferenziale, ma era semplicemente una norma burocratica. E già allora intuii la congenita debolezza di un regime che a tredici anni dalla sua nascita induceva una fanciulla (e di una famiglia nemmeno allineata) a ricordare la nascita dello stesso in un appunto stravagante e senza scopo evidente, scritto sul bordo di un cassetto...

Mia madre è una donna decisamente in gamba per la sua età: guida ancora la sua rossa utilitaria, è abbonata a due stagioni alla Scala, a una stagione al Teatro Carcano, e a una serie di concerti al Conservatorio (e ci va da sola); si ostina a organizzare frequenti pranzi domenicali e per le ricorrenze a cui è affezionata: soprattutto Natale, Pasqua e il 25 aprile. In queste date è particolarmente in vena di ricordi. Così anche quest'anno, come sempre, ha rievocato il suo 25 aprile milanese, quello autentico, quello originale, quello del 1945, quando a una cert'ora tutte le campane di Milano si sono messe a suonare a festa...

Allora era una giovane musicista, da poco diplomata in pianoforte, cresciuta in una schiva famiglia antifascista: suo padre, piccolo e volitivo imprenditore anticlericale, di simpatie socialiste, era stato picchiato dai fascisti, per aver detto in una riunione di amici (si fa per dire...) quello che pensava del fascismo e di Mussolini... Mia madre, grazie a conoscenze di un suo maestro, riuscì a evitargli il confino, ma non la terribile angina pectoris che lo colpì pochi giorni dopo il pestaggio, e che gli rovinò il cuore per il resto della vita.

Ho notato che mia madre sente sempre più spesso il bisogno di ricordare il tempo della guerra, che è comunque stato il tempo più emozionante della sua vita. Naturalmente ripete all'infinito certi aneddoti, o certi intercalari che rimandano a quel tempo... Ma a me non dispiace, e non dispiace neppure ai nostri due nipoti, che si sono sorbiti per decine di volte il racconto del giorno in cui evitò per un soffio di finire in un rastrellamento dei nazisti in Galleria... e del tremendo Pippo, l'aereo che ossessionava la città con il suo volo snervante (raramente sganciava qualche bomba)... e del "riso cotto senza bollire" (commento alla critica o all'avanzo di un piatto)... della formidabile ricostruzione della Scala, distrutta dai bombardamenti e ripristinata undici mesi dopo la fine della guerra (mentre ci sono voluti quattro anni per la recente ristrutturazione! - polemizza sempre mia madre), con il concerto inaugurale diretto da Toscanini, rientrato dopo il lungo esilio antifascista (Toscanini aveva deciso di non dirigere più in Italia finché ci fosse stato il fascismo dopo una aver subito un'aggressione: ad un concerto commemorativo non aveva voluto eseguire Giovinezza e l'Inno reale e all'uscita era stato schiaffeggiato da una camicia nera), l'ultimo concerto scaligero del Maestro, dove lei c'era... del suono delle campane a guerra finita, che ricorda con commozione ad ogni concerto di campane...

C'era anche il giorno in cui, nel primo pomeriggio, in una Piazza del Duomo gremita fino all'inverosimile (a suo dire non ci sarebbe più potuto stare nemmeno un chicco di riso) quando, nel più assoluto silenzio, l'arcivescovo, il Cardinale Schuster, salì sul Duomo per liberare la Madonnina dal telo grigio in cui era stata avvolta per non essere riconoscibile dagli aerei. Il Cardinale tirò una fune e la Madonnina tornò a brillare "de lontan", secondo la celeberrima canzone di Giovanni Danzi, scritta in piena epoca fascista (guarda caso,  proprio nell'anno dell'appunto di mia madre sul cassetto), canzone campanilista, ma scritta con garbo, anzi come si dice qui a Milano, "col coeur in man":

O mia bella Madunina,
che te brillet de lontan,
tutta d'ora e picinina
ti te dominet Milan...

Ma sentiamola tutta dalla voce del suo stesso autore:



Quest'anno non avevo troppa voglia di andare alla manifestazione: un po' perché volevo riposare e poi scrivere, e un po' perché il tempo era incerto. Ma mi ha telefonato un'amica, Angela, in procinto ad andare in manifestazione insieme ad altri, e ha insistito: "Dài vieni... è importante in questo momento!". Allora ho preso la bicicletta e sono andato.

Pedalando riflettevo sulla polemica per l'uso delle parole della "Locomotiva" di Guccini per un manifesto filo-fascista (dedicato "ai ragazzi di Salò") affisso di recente, qualche giorno prima del 25 aprile, sui muri di Roma: "Gli eroi son tutti giovani e belli"...



Io durante la giovinezza non ero di sinistra, pur essendo sempre stato profondamente antifascista, e non ho un'eccessiva passione per la mitologia partigiana. Quindi posso giudicare una questione legata al 25 aprile "sine ira et studio", come direbbe Tacito: senza livore e partigianeria.

Non sono troppo d'accordo con il retorico romanticismo della frase. Non è vero che gli eroi sono tutti giovani e belli: l'eroismo può benissimo prescindere dalla giovinezza e dalla bellezza. Tuttavia l'eroismo dei giovani, disposti a morire precocemente per una causa, ha una pregnanza particolare, certo commovente. Comunque mi pare evidente la profondissima differenza - e quindi l'inconfondibilità - tra gli aspiranti eroi della milizia fascista e i rinomati eroi della resistenza. Penso che la congenita natura squadristica e retorica e illiberale del fascismo lo ponga in una posizione inesorabilmente antieroica (a dispetto delle sue enfatiche ambizioni). D'altra parte bisogna pure valutare l'intenzione di riconciliare le varie tendenze storiche e ideologiche di un popolo... Effettivamente i giovani che hanno combattuto per la Repubblica di Salò hanno rappresentato in qualche modo la continuazione di una parte d'Italia che ha guidato la nazione (con un contenutissimo dissenso) per un ventennio... Ma è anche vero che la Repubblica Italiana si fonda su principi assolutamente antitetici a quelli del fascismo (tanto da vietare la ricostituzione del partito fascista nella Costituzione - disposizione XII )... Insomma, come spiega energicamente Pietro Calamandrei in un formidabile discorso ( Discorso ai giovani tenuto alla Società Umanitaria, Milano, 26 gennaio 1955):

Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.

Ovviamente si può e si deve riconoscere l'eroismo di un avversario, quando questo compie un atto assolutamente magnanimo e valoroso. Ma si può chiamare eroismo combattere e morire per una causa evidentemente becera, faziosa, tracotante, fanfarona, razzista, violenta, incentrata sul puerile culto di un "provvidenziale" condottiero "che ha sempre ragione", irrispettosa di ogni discussione e ostile a ogni dissenso? Penso di no. Certo che no. NO.

Tuttavia mi sono anche chiesto se una festa come quella del 25 aprile non sia la cartina di tornasole del nostro fallimento nazionale, della nostra cialtroneria politica. Festeggiare una data che rappresenta la "liberazione" da un regime osannato o per lo meno accettato per quasi venti anni (sic!) dalla maggioranza della popolazione, ottenuta grazie al contributo determinante di forze militari già nemiche, è oggettivamente imbarazzante. Certo che questo 25 aprile annunciava una nuova Costituzione e una nuova democrazia. Ma non è stato un evento totalmente nostro e popolare... E non è inverosimile la voce che sostiene che molte delle persone presenti allo scempio di piazza Loreto avessero ascoltato con delirante entusiasmo le roboanti parole che pochi anni prima annunciavano "l'ora segnata dal destino... l'ora delle decisioni irrevocabili"... (E non abbiamo forse visto, pochi decenni dopo, l'apparizione di un altro pacchiano e macchiettistico cavaliere, di un altro "faccio tutto io", con le mani sui fianchi e il petto in fuori, votato quasi per un altro ventennio dalla maggioranza?)

Meditando su tale endemica ambiguità del popolo italiano, che ha fatto il Rinascimento e poi si sceglie un quaquaracquà per capo quasi ad ogni generazione, arrivo nei pressi della manifestazione, all'altezza di via Palestro, e parcheggio la bicicletta e mi unisco al corteo ancora fermo... Bel corteo: vociferante e variopinto. Penso di fare qualche foto, con il telefonino (l'avessi avuto al tempo delle medie!)...

Però, quanta gente!

sia verso Porta Venezia:


sia verso il centro:


C'è anche della musica, essenzialmente percussiva:



e anche un po' di cultura: un ragazzo cita fisicamente queste parole di Primo Levi (tratte, come poi ho trovato in internet, dall'articolo dal titolo attualissimo "Un passato che credevamo non dovesse tornare più" - Corriere della Sera, 8 maggio 1974):



"Ogni tempo ha il suo fascismo.
A questo si arriva in molti modi: non
necessariamente col terrore dell'intimidazione
poliziesca, ma anche negando e distorcendo
l'informazione, inquinando la giustizia,
paralizzando la scuola. Diffondendo, in molti
modi sottili, la nostalgia per un mondo in cui
regnava sovrano l'ordine."

Questa sovranità  dell'ordine mi ricorda immediatamente una scena di "Pasqualino Settebellezze" di Lina Wertmüller, quella in cui Pasqualino, finito in un lager nazista, parla con l'anarchico che vagheggia l'avvento dell'uomo nuovo... "L'uomo nell'ordine..." azzarda Pasqualino... "No, affatto - replica l'anarchico - Guarda questi: loro sono ordinatissimi... L'uomo nel disordine!"...

Mi ricorda anche un intervento televisivo di molti anni fa di Rita Levi Montalcini (che quattro giorni dopo avrebbe festeggiato il suo CIII anniversario!), in cui la grande scienziata presentò il suo "Elogio dell'imperfezione" (Garzanti 1987), illustrandone il concetto fondamentale: il cervello dello scarafaggio è uno dei più perfetti conosciuti in natura, mentre quello dell'uomo è il più imperfetto....

Non vedo gli amici, e mando un messaggino ad Angela, come d'accordo. Mi risponde di essere già in piazza San Babila con gli altri... Tento di andarci a piedi, ma c'è troppa calca. Così riprendo la bicicletta e faccio il giro. Trovo gli amici e seguiamo il corteo. Appena entrato in corso Vittorio Emanuele, ripenso subito alla Madonnina oscurata, perché il Duomo (in perpetuo restauro) si mostra pieno di impalcature, anche (caso raro) nella guglia più altra, quella della Madonnina (dalla seguente foto si intuisce):



Ma eccoci al limite di piazza del Duomo:



Appena guardo il Duomo mi irrito: con la scusa delle impalcature era coperto di cartelloni con immagini pubblicitarie. Un vero trionfo di marketing... Peccato che Cristo dica: "non fate della casa di mio Padre un luogo di mercato" (Giovanni 2,16)! 







D'accordo: forse contribuiscono al restauro... Ma non c'era un modo meno spudorato? Deve essere proprio un ateo anticlericale a ricordare le buone maniere evangeliche? Non c'è verso: questo è paese superstizioso e clericale, e (quindi, direi) profondamente irreligioso.

Eccoci in centro della piazza del Duomo. Parla ancora l'ultimo oratore (da quel che ho capito, quest'anno gli interventi sono iniziati nel primo pomeriggio)... Grande striscione sugli ideali della Resistenza: 

ESSERE PARTIGIANI È STARE DALLA PARTE DI CHI LOTTA
CHI NON HA MEMORIA NON HA FUTURO - NESSUNO SPAZIO A FASCISTI E RAZZISTI 



Per finire, andiamo in prossimità dei portici settentrionali della piazza a vedere l'impressionante opera commemorativa dei morti sul lavoro, l'Installazione di Gianfranco Angelico Benvenuto "100 SOGNI MORTI SUL LAVORO": 



Opera in questo momento particolarmente pregnante, in quanto troppo facilmente collegabile alla progressiva decadenza del mondo del lavoro, su cui invece dovrebbe fondarsi, come recita il primissimo articolo della Costituzione, la Repubblica Italiana.



100 SOGNI
MORTI SUL LAVORO

Cento anonime tute vuote,
riempite solo di vento
che dà loro corpo in questo
composto cammino
senza i colori della speranza
di Pellizza da Volpedo.
Perché l'assenza di chi è morto
per il lavoro o perché lo ha perso
diventi la presenza 
più autentica e viva.
Perché almeno il silenzio
possa penetrare il muro
dell'indifferenza al dolore altrui.

Da scrittore pasolinianamente attento alla funzione veridica dei sogni ho particolarmente  apprezzato l'armonizzazione del concetto di sogno con quello di lavoro. E con questo mirabile corteo, fantasmatico, onirico e silente, chiudiamo il nostro 25 aprile. 



Gli amici hanno proposto di andare a bere qualcosa, ma ho declinato l'invito. Avevo fretta di tornare a casa, a lavorare alla trascrizione di un mio sogno... Faccio un'ultima foto della piazza:



Tornato a casa riguardo la bandiera che sventola sul terrazzo di casa mia:



e ripenso con deluso affetto alla nostra Costituzione, particolarmente all'articolo 12, l'ultimo dei principi fondamentali: 
"La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni."



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